La fiera di cui vergognarsi

La fiera di cui vergognarsi

A Milano, da domani al 29 ottobre, al Parco Esposizioni Novegro, si terrà la Milano Book Fair. Una buona notizia? Insomma.

Francoforte, Londra, Parigi… e adesso anche Milano! Sì, perché anche la mia città pare che da quest’anno avrà il suo Salone del libro. No, salone no, non si può dire (il Salone del libro di Torino si è lamentato, c’è stata una causa per la tutela dei propri marchi, non mi è chiaro cosa sia accaduto ma Mjm editore – l’organizzatore dell’evento in questione – alla fine ha cambiato nome alla propria iniziativa). Fatto sta che domani fino al 29 ottobre, al Parco Esposizioni Novegro, ci sarà la Milano Book Fair e non si tratta di una fiera della piccola editoria – come, per esempio, Un libro a Milano – ma di un progettone grande, grosso e cattivo. Almeno così parrebbe.

puzzled-man-cropQuando ne scopro l’esistenza, mi stupisco di non aver ricevuto dagli editori alcuna notizia in merito, nessun programma delle presentazioni o richiesta di interviste agli autori presenti. Così vado sul sito della fiera e la Milano Book Fair mi accoglie con lo slogan “Credere. Creare. Condividere” (e già un editor vede rosso ché una “tripla” è proprio brutta, si sa, sempre meglio una parola che tre). Clicco sul link “espositori”, per vedere un po’ chi c’è e chi no.
E chi c’è? Un lungo elenco di Eap (editori a pagamento). Chi non c’è? Gli Editori (passatemi la maiuscola, una volta tanto).
Ci sono infatti pochissimi nomi – 66Thand2nd, Newton Compton, Todaro, De Agostini – diciamo così “noti”. Perciò mi viene il dubbio che gente come Bompiani, Cairo, Chiarelettere, Dalai, Einaudi, E/O, Garzanti, Guanda, Fanucci, Fazi, Feltrinelli, Marcos Y Marcos, Marsilio, Mondadori, Voland, eccetera sia sottintesa per eccesso di fama. Invece no, non c’è, punto e basta.

Leggo, tra i vari comunicati stampa, “io sono convinta che ci sia bisogno di aria fresca” a parlare è Jacqueline Miu, direttrice della manifestazione “di una fiera libraia più accogliente, più leggera, con contorno di spettacoli, rivolta soprattutto ai giovani. Una fiera alternativa, progressista”.
Be’, in effetti senza editori altro che progressista, direi una fiera all’avanguardia tipo un ristorante senza cibo. E quindi anche decisamente leggera come rassegna. Accogliente, però, parrebbe esserlo solo per gli Eap, imprese a caccia di autori disposti a sborsare un po’ di euro per vedersi pubblicati, i sostenitori della boiata “se non sei nessuno non puoi pubblicare”, quelli per i quali gli esordienti presenti nelle diverse collane di fiction sono ectoplasmi o il risultato del lavoro
di uno dei tanti ghostwriter di Fabio Volo (ormai lui ci ride sopra).
Che tristezza vedere un settore già problematico vampirizzato da persone che sventolano parole come “condivisione” e concetti sublimi quali l’amore per i libri e nongeorge-marks-secretary-with-puzzled-expression sanno – cosa grave – chi accolgono e sponsorizzano o lo sanno – che è peggio – ma fingono di essere paladini della cultura.
E gli scrittori?

Perché tutta l’attenzione viene spostata sulla presenza di editori stranieri rinomati come Random House (che non si sa bene perché abbiano accettato di presenziare; ma temo che l’adagio “tutto il mondo è paese” sarà sempre di moda), però io di autori non ne vedo. Cioè parlo degli scrittori più o meno noti, esordienti o no, che trovate in libreria oggi, data astrale 201210.25, pubblicati non solo dai big dell’editoria ma anche dai piccoli e validi editori che non sono pochi.
Puzzled-ManOvviamente la fiera milanese prevede anche la vendita di libri (immagino, a parte qualche fiore nel deserto, le chicche proposte da una filiera che alle volte nemmeno rilegge i testi che stampa) perché “anche lo scrittore deve vivere” prosegue la Miu “e per vivere deve guadagnare, come qualunque altra impresa: lo scrittore è imprenditore di se stesso”.
E ci risiamo con lo scrittore che “imprende” (vi risparmio facili battute). Tesi con la quale i più grandiosi Eap spillano euro a palate. No, gentile signora Miu, lo scrittore non è un imprenditore e dovrebbe saperlo essendo una autrice di poesie e di romanzi (pubblicati, guarda un po’, da Mjm). Lo scrittore è uno scrittore! È l’editore a essere un imprenditore. Lo saprebbe, sa, se ogni tanto ne frequentasse qualcuno.

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60 Comments

  • Me ne rammarico. Pensavo di parteciparvi, dato che nella lista c’è il mio editore, ma che tristezza sapere di tutti questi eap…Comunque come fiera non è stata pubblicizzata per niente…

    • Ciao Silvia,
      come detto qualche nome “sano” c’è. Solo che mettersi insieme agli Eap proprio non va… In effetti la mancanza di pubblicità è un dato quantomeno sospetto.

  • Non ne avevo mai sentito parlare (e non mi sono persa nulla da quanto leggo)

    • Ci andiamo in incognito (parrucca silver e cappello a tesa larga?)

      • Non no… non ci andiamo e basta! Meritano solo il vuoto….

        • Se non avessi 39 e non fossi afona, ci sarei andata per scrivere un pezzo. Grazie al cielo c’è gente parecchio in gamba che lo farà al posto mio… comunque da quanto so c’è il vuoto in una distesa di Eap. Gli editori di nome e di fatto si domandano invece che cavolo ci fanno lì (infatti, che cavolo ci fanno lì?).

  • BRAVA! dovreste essere TUTTI i critici a sottoscrivere quanto affermi pro Editori e a sfavore degli sciacalli nell’editoria. Grazie per affermare pubblicamente quanto hai scritto sulle fiere pagliacciate e sugli speculatori dei talenti disconosciuti. BRAVA

  • Reblogged this on carmillaweirdlove and commented:
    Chapeau!

  • Sarebbe da presentarsi e portare un resoconto di quello che succede 🙂

  • Purtroppo anche gli organizzatori di fiere sono imprenditori. Vendono i loro spazi a chi può permettersi di pagarli, cioè
    – Editori grossi che non si fanno problemi a mettersi sullo stesso piano degli EAP (e ci sarebbe da riflettere anche su questo…)
    – EAP che possono investire in pubblicità perché non investono nei loro prodotti, tanto se li (stra)paga l’autore, come sappiamo. Peccato che da questa pubblicità non ci guadagni la “scuderia” dell’EAP ma l’EAP stesso. Le fiere infatti sono un bel vivaio dove incontrerà altri soggetti da spennare, quindi figuriamoci quanto sarà interessato a concedere spazio al galletto già arrostito in precedenza che quindi si ritrova bruciato prima di aver detto: “Cocò”.

    I piccoli Editori seri e maiuscoli hanno pochissimi fondi e se investono nei loro prodotti, difficilmente riescono a permettersi di investire in pubblicità, fosse anche la migliore delle fiere. Investire in un “evento” dove li mettono sullo stesso piano di un EAP poi, sarebbe un suicidio piuttosto doloroso.

    Quindi, o gli organizzatori escludono gli EAP, o “Credere. Creare. Condividere” andrebbe tradotto in “Guadagnare”. Meglio una parola vera che tre prese in giro.

    • La tua chiusa ma la stampo 😉
      Comunque qui di editori grossi mica ne vedo tanti… tutti i big non ci sono, per dirti. Stranieri a parte… ma di loro, dire non so.
      E gli organizzatori qui sono “editori”.

    • Forse è il caso di citare la fonte di questa chiusa… che è una storica campagna dei rivenditori Lacoste. Fecero questa campagna per difendersi dalle contraffazioni. Il manifesto, 6 x 3 era a fondo bianco e la head line citava esattamente: O è una Lacoste presa qui (logo del coccodrillo) o è una presa in giro.
      Applausi perché il doppio senso era (è) riuscitissimo.
      Purtroppo il copy non ero io.

  • A suo tempo (direi ormai la scorsa primavera) avevo scoperto l’esistenza di questa fiera e, poiché come piccoli editori per vendere abbiamo anche bisogno di una certa visibilità, avevo chiesto informazioni per partecipare (ancora all’oscuro di tutto, praticamente) sia con uno stand che, magari, con una o due presentazioni/incontro con l’autore.
    Ora non ricordo più i dettagli e credo di aver buttato via tutto per la solita rabbia che mi assale in queste circostanze, ma credo di non sbagliare se dico che se i piccoli editori non ci sono è principalmente per una questione di costi proibitivi. Inoltre, per quanto ci riguarda, anche lo stile un po’ troppo roboante ed egocentrico per una manifestazione (meglio dire “fiera commerciale”) al suo esordio non ci era piaciuto.
    Probabilmente molti editori, piccoli e grandi, hanno fatto le stesse valutazioni…almeno una delle due!
    Anna

    • So bene, Anna, che per i piccoli editori la vita è dura. Proprio per questo mi irrito quando qualcuno finge di fare il moderno e l’alternativo, e invece fa solo il suo comodo.
      Non conoscevo il dettaglio sui prezzi proibitivi, ma capisco come mai ci sono soprattutto Eap (che i soldi li incassano sui “servizi” propinati e non certo sui libri venduti).
      Grazie davvero!

      Chiara

  • Come mi piacciono i testi scritti da persone incazzate! 🙂 Tu non lo sai, ma il mio disprezzo per l’editoria a.p. non è inferiore al tuo e ho già scritto da qualche parte che l’editore che non rischia è, in realtà, un tipografo (con tutto il rispetto per i tipografi) e l’autore che finanzia un pollo.
    Detto tutto ciò, il copywriter che è in me deve difendere lo slogan. Tecnicamente, intendo. Anch’io quando non ho grandi ispirazioni cado in questa tentazione, quella dei tre verbi o dei tre aggettivi, che secondo me funzionano meglio di uno solo. insomma non è questo a farmi vedere rosso.

    • Vediamo rosso, rossissimo quindi 😉
      Per lo slogan, no, poveretto non è colpa sua. Colpa del mio lavoro e di quegli autori (tanti) che scrivono cose tipo: Era una notte buia, oscura e cupa. Era una notte tempestosa, burrascosa e temporalesca”. Più che scrivere, sembra che prendano la mira. E lì, sì che una parola è meglio di tre (e non a caso “era una notte buia e tempestosa” e basta!).
      Queste sono le famigerate triple cui mi riferivo (mi scuso, le battute da editor son peggio di quelle da becchino, criptiche).
      Ciao!

  • Fantastico il tuo pezzo, brava e sempre tanto incisiva. Condivido in pieno ogni tua singola parola.

  • Ciao, ieri ho condiviso l’articolo su FB, e ho scoperto che la mia casa editrice è nell’elenco dei partecipanti. A tradimento. E dato che si prova, tra mille difficoltà, a lavorare seriamente e a fare editoria, assolutamente NO EAP, ho scritto loro quanto segue.

    «Buongiorno,
    sono Alessandro De Vito, direttore di Miraggi Edizioni.
    Vengo a scoprire per puro caso che il nome della nostra casa editrice è inserito nell’elenco dei partecipanti alla vostra Milano Book Fair.
    Dato che non abbiamo mai aderito alla Fiera, né mai ne abbiamo avuto intenzione, vi esorto a cancellarlo immediatamente, augurandomi che si tratti di un errore.

    In caso contrario, aggiungo una considerazione per cercare di comprendere il motivo di un tale comportamento, che mi sembrerebbe vergognoso. Potrei supporre che se si avesse bisogno anche del nostro umile nome per far vedere che il numero di adesioni (e la loro qualità, mi permetto, dato che mi paiono prevalenti le adesioni di editori “a pagamento”) è consono a quello di una Grande Fiera, ciò stesso ne definirebbe invece la caratura.
    Ma certamente mi sbaglio.

    Mi auguro che provvediate celermente

    Saluti

    ADV»

    Grazie, ti seguiremo

    • Buongiorno, Alessandro. Fantastico! Adesso controllo di non figurare tra gli editori 😉
      Spero facciano quanto gli hai chiesto.
      Un caro saluto,
      Chiara

  • E’ incredibile quanto giranto per la rete, e non solo, si trovino commenti negativi sul mondo dell’editoria. Io sono un giovane ragazzo che si diletta a scrivere e al quale piacerebbe pubblicare qualcosa… ma temo che sia più difficile del previsto, per lo meno se lo si vuole fare senza dover mettere tutto il necessario di tasca propria.

    • Ciao, Flavio. Non credo che l’editoria sia un settore peggiore di altri. Essendo fato da persone trovi quelle per bene, generose, professionali e pure i soliti furbetti, mariuoli e incompetenti. Escludi a priori di mettere mano al portafoglio con un editore, fidati, lascia perdere. Dai un occhio all’ottimo Writer’s Dream ci sono tante notizie utili. In bocca al lupo!

  • Flavio, l’editoria non è peggio di qualsiasi altro settore. Bisogna però guardare bene, e guardarsi bene… Ma è necessario anche nella scelta di una trattoria, no? 😉

  • Guardando sul sito si vede che i “padrini” della manifestazione fieristica sono l’Architetto Gabriele Pagliuzzi e il Monsignor Franco Buzzi Presidente dell’Accademia Ambrosiana, presentati come “due esponenti che rappresentano la cultura e la volontà di continua e instancabile ricerca della conoscenza. Entrambi sono promotori di attività che coinvolgono i giovani, la scuola e le materie umanistiche riguardanti il benessere della famiglia”. E visto che sono entrambi fautori del “Family Day”, possiamo ben immaginare che tipo di attività per i giovani e il benessere della famiglia hanno in mente.
    In quanto al “giovane ragazzo” che si diletta di scrivere, consiglierei di evitare i calchi dall’inglese e di usare le parole nella loro accezione perché l’economia del linguaggio in editoria è fondamentale (anche una sola parola in più può significare una pagina in più con un aggravio dei costi di stampa) e uno scrittore dovrebbe voler difendere la propria lingua con un corretto uso delle parole.

  • Reblogged this on BABAJI and commented:
    grazie !

  • Ottimo (e tristerrimo) il resoconto di Scrittevolmente sulla fiera. Lo potete trovare qui:
    http://scrittevolmente.com/2012/10/27/milanobookfair-la-fiera-della-fuffa/

  • sono anna albano del blog cose da libri. questa fiera non mi aveva convinto fin dai suoi esordi. il comunicato stampa sul sito era davvero improbabile: http://cosedalibri.blogspot.it/2012/03/per-essere-internazionale-e-piuttosto.html

    • Grazie, Anna, ho condiviso il pezzo… in effetti, come presentazione lasciava non poco a desiderare. Ma quello che mi lascia sempre interdetta sono i patrocini.

      • proprio così: dal comune di alberobello alla regione lombardia (a quel che ora ne rimane, beninteso). grazie a te per l’ospitalità.

  • Volevo dire che l’imprenditore, in questo caso, dovrebbe essere l’editore, ma l’hai già detto tu, giustamente…

    La vera tristezza è che, in giro, si vedono libri pubblicati senza editing e, soprattutto, senza correzioni! Strafalcioni assurdi, mancanza di accenti, parole inglesi tradotte in italiano maccheronico, aggettivi sbagliati…

    Mia madre mi diceva “leggi un libro e non guardare la tv, se vuoi imparare l’italiano.”
    Dopo aver letto certi libri mi sono scaricato le puntate del processo del lunedì di Biscardi, almeno ci sono meno errori…

      • Sì, Anna, però diciamolo ai lettori e soprattutto agli autori (sono un editor anche io) che gli editori hanno il compito di offrire GRATUITAMENTE l’editing. Perché questo è un passaggio chiave della pubblicazione. Così come abbiamo il dovere di sottolineare che l’editoria non è una scienza esatta e spendere parecchi euro di editing non garantisce affatto la pubblicazione.
        Io sconsiglio a un autore – che non ha alle spalle un serio e valido agente che lo abbia adeguatamente valutato (detto in soldoni: ci devono essere consistenti possibilità di piazzare il testo) – di investire in prima persona sul proprio romanzo.
        Poi se uno desidera fare questo percorso con coscienza, sta bene. Spesso autori affermati hanno editor di supporto, perché sentono il bisogno di questa valutazione.
        Ma non si tratta di una cura obbligatoria. Anzi.

      • Anna,
        non mettevo in discussione il tuo lavoro, non ti conosco ci mancherebbe altro!
        Mettevo in discussione gli editor dal grilletto facile che a suon di 2/3mila euro mettono mano a un testo promettendo mari e monti (spesso facendo danni immani, spesso scrivendo al posto dell’autore, spesso appiattendo una voce).
        Così come trovo ridicole certe scheducole di una paginetta (occupata per metà dalla sinossi) colme di parole pompose e prive di contenuti.
        Era per chiarezza, visto che di qui passano molti esordienti: occhio, sempre, anche a chi vi offre servizi.
        Adoro il mio lavoro e penso che se capita di farlo bene si faccia bene anche ai libri.
        A presto,

        Chiara

        • se c’è una cosa che mi piace del nostro lavoro, chiara, è proprio il rapporto con gli autori, la ricerca di quell’equililbrio delicato tra la tua professionalità e la loro voce, che nei casi più felici si integrano a beneficio del libro, e mai si sovrappongono. soprattutto dobbiamo badare noi, a non cercare di sovrapporci alla voce dell’autore. diciamo che il nostro ruolo è di “facilitatori”.

    • La forma che si lega alla sostanza. Perché una storia deve essere anche ben “servita” al lettore. Una buona copertina (che sia bella o brutta poco importa, ma che sussista un progetto grafico, una idea, conta eccome), un testo ben tradotto, ben corretto, ben impaginato, con una quarta sensata che dia valore al tutto… questi sono i dettagli che distinguono un editore da un furbone. Il primo si vergognerebbe di annoverare nella sua collana certe boiate colme di errori, il secondo ci ha già guadagnato su e chiude un occhio. Ma il lettore no, porello.

      • do per scontat(issim)o che l’editing offerto dall’editore è un servizio a titolo gratuito che chi decide di investire su un libro fa all’autore ma anche molto a sé stesso, , se vuole mantenere il proprio livello di qualità. questo non toglie che esista lo spazio per un servizio dedicato agli autori che vogliano farsi sostenere, o avere un confronto, nel corso della loro opera, oppure una valutazione quando la stessa è terminata ma loro non ne sono soddisfatti, o comunque desiderano avere un secondo parere. per quello che mi riguarda lavoro come editor indipendente su tutti i fronti: quando la casa editrice mi affida un lavoro che poi io fatturo alla casa editrice, che quindi è il mio committente; quando un autore si mette in contatto con me perché sente la necessità della mia opera; quando un autore vuole farsi valutare. tutti questi casi sono legittimi; attualmente sto editando un autore che, pur avendo vinto un premio con un’opera di genere, vede nella detta opera dei difetti e ha chiesto un confronto. dopodiché ha deciso che voleva affidarmi il lavoro, pur non desiderando pubblicarlo. consideriamo che anche l’autopubblicazione apre una serie di possibilità: per noi che facciamo questo lavoro e per gli autori seri che, pur facendo da sé, sanno che raramente un testo è opera di uno solo.

  • Non vorrei dire, ma io fin da quando ho visto chi era l’organizzatore, ho capito dove si sarebbe andati a parare. Guarda caso, è stata la prima fiera che con Nero Press abbiamo depennato dalla lista degli eventi degni di interesse.

    • Ovvio. Ma trovo ridicolo che nessun giornalista di peso, abbia speso (pardon) due righe per dire quanto fosse ridicola e vergognosa la cosa. Così come mi fa rabbrividire, lo ripeto, vedere che l’evento della tristezza aveva svariati patrocini. Un non addetto ai lavori ci cascava con tutte le zampe, andava alla fiera e sai che bella immagine dell’editoria…

  • DioBono ringrazio il Cielo che non era alla fiera fiera insomma la fiera campionaria della mia infanzia cioè vicino a casa, perchè mi sarei lasciata tentare, invece quando ho visto che si trattava di Novegroland ho desistito. No, ma che scempio triste. Verranno fiere migliori. Forse. baci

  • In Italia capita spesso che le fiere e i festival siano oggetto di cannibalismo, lo abbiamo già visto con il cinema, con il cioccolato e ora anche con i libri ma anche altri settori come quello alberghiero hanno pagato il tributo a questo sistema, solo che così non funziona e di fatto nel settore alberghiero non riescono più a organizzare una fiera solida e ci hanno rimesso sia le vittime che i carnefici. Purtroppo (io amo Milano) ma è spesso da questa città che partono questi tentativi di depredare…ci stanno provando con il motorshow e anche con il salone del gusto.

    • Concordo, Stefania.
      Infatti bisogna parlare di queste pieghe di tristezza milanese. Scrivere alla regione, insultare le istituzioni! Che ci siano i ladri, ci sta, che ci sia qualcuno che li avvalora è spaventoso.

  • Mi dicono dalla regia che l’ingresso, pubblicizzato come “gratuito” oggi sia diventato a pagamento. E come dice Giannino: Ladri, ladri, ladri!

  • Più passa il tempo più “sento” ch scrivere per l’umano populo è un gran bel hobby e non un possibile e serio lavoro, sicché gli hobby si pagano no? vedi sub, pesca, danza, ecc… perché non pagare per un libro? Io lo so il perché, ma gli haspiranti giovani o meno giovani scrittucoli no (non tutti ovviamente). Occhi aperti e informarsi bene. L’editoria è un ramo del “commercio” come tante altre imprese. Ci sono i furbi, quelli bravi, quelli mediocri e quelli che dovrebbero cambair mestiere. Detto ciò, informarsi sull’azienda a cui si manda non un CV (che già è importantissimo no?) ma il proprio manoscritto (equivalente per alcuni all’oggetto più importante al mondo o meglio alla parte più importante di altri) mi sembra d’uopo.

  • Io credo che sia più che corretto dire che lo scrittore è un’imprenditore. Infatti sta a lui investire decine, centinaia, migliaia di ore del suo tempo per portare avanti il suo progetto ed avere infine un prodotto da poter sottoporre all’altra metà dell’impresa: l’editore. A carico di quest’ultimo l’investimento economico.

  • Ma la seconda edizione non si fa più? 😀

    • Eh certo che si fa!
      Come potrebbe mancare questa chicca nel panorama delle chicche milanesi?
      http://www.milanobookfair.com/
      Chissà se quest’anno ci sarà qualche editore 😉

      • Però in giro non abbiamo trovato tracce e non ho sentito nessun editore che va. Se la fanno ad ottobre, sono ben in ritardo.

        • In effetti la cosa è alquanto sospetta… secondo me, vista la crisi, e il livello dell’anno scorso pure gli Eap non vogliono “investire” in uno stand. Indagherò, grazie, alle volte mi dimentico di certe chicche 😉

  • …a proposito della “cara” MJM Editore. Mai avuto a che fare grazie al cielo con società simili prima della pubblicazione di due miei romanzi con questa “seria” casa edistrice. Dalla pubblicazione a oggi e sono trascorsi diversi anni, non ho mai ricevuto un resoconto scritto sulle vendite. Ho dovuto telefonare io per sapere approssimativamente il numero di copie vendute senza mai ricevere nulla… non dico denaro ma almeno un resoconto dettagliato.
    Persone del genere meritano di essere denunciate alle autorità visto che per pubblicare con loro vogliono soldi promettendo castelli in aria…
    Spero che questo mio commento sia stato utile a tutti coloro che si avvicinano alla scrittura e alle case editrici.

    • Grazie, Fabio!
      Mi spiace molto per la tua disavventura… ahimè per me non è una novità.
      A presto

      Chiara

  • Vorrei descrivere la mia esperienza con Mjm editore. Cerco di stringere poiché le cose da dire sarebbero veramente tante e tutte negative. Prima proposta Mjm (parliamo di alcuni anni fa), acquisto di 100 copie del mio libro, mia risposta negativa e dopo qualche giorno arriva la seconda proposta senza obbligo di acquisto copie. Bene firmo il contratto, spedisco, e mi chiedono di quante copie io abbia bisogno, dico 20, mi dicono che minimo devono essere 50 (ma allora non ci siamo capiti), sarei tentato di dire che non voglio copie ma in effetti qualche copia mi serve e gliela do vinta. Nei giorni che seguono mi inviano mail che parlano di una presentazione a Milano di cui poi non se ne è più parlato, cambiano la copertina, vorrebbero cambiare anche il titolo ma su quello non cedo (e ci mancherebbe) poi arrivano le 50 copie. Con mio orrore controllando una delle copie, trovo che in una ventina di punti non esisteva più lo spazio fra paragrafi, io non voglio insegnare il lavoro a nessuno ma magari sarebbe stato più opportuno inviare una prima bozza e poi stampare il resto delle copie. E’ chiaro che avendo ormai pagato le 50 copie non gliene poteva fregare de meno. invio una mail di richiesta chiarimenti e mi rispondono che dipende da un errore del file macchina, fine della risposta (ergo, non era colpa loro). Da quel momento non li ho più né visti né sentiti. Mail nessuna risposta, telefonate dove ogni volta rispondeva quella che sembrava la stessa voce, una volta diceva di essere il magazziniere, una volta il centralinista, una volta qualcuno che passava là per caso, ecc.. Al termine del contratto, dopo i cinque anni in cui da loro non ho più avuto nessuna notizia, invio una PEC (dopo che ben due raccomandate sono tornate indietro), ovviamente nessuna risposta.

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