Ninna nanna – Leïla Slimani

Ninna nanna – Leïla Slimani

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“Il bambino è morto”. Comincia con una fine Chanson Douce – questo il titolo originale – il romanzo di Leïla Slimani, nata nel 1981 a Rabat ma parigina d’adozione, che le è valso il Goncourt, il più importante premio letterario francese.

Come Nel giardino dell’orco, uscito per Gallimard, l’autrice partendo da un fatto di cronaca si confronta con i demoni della nostra epoca. Le contraddizioni con cui dobbiamo fare i conti. Questa volta ci racconta di Myriam: moglie, mamma – di Mila e Adam – e avvocato.

La donna che ha lasciato il lavoro per crescere i propri figli, ha deciso che è giunto il momento di riprendere. Ma c’è bisogno di un aiuto, di qualcuno che metta ordine al caos, qualcuno che tenga insieme i fili. Una persona di cui fidarsi tanto da affidarle i propri figli.

Serve una tata ma la ricerca non è cosa semplice ed è qui che inizia il lavoro – silenzioso – della Slimani: far emergere le dinamiche all’interno di una coppia, tra la donna e le amiche, il rapporto con i figli, i sensi di colpa che si prova nel lasciarli. E poi la disparità con cui trattiamo e giudichiamo le persone.

“Ha due figli in casa, quindi non può mai fare tardi (…) è una complicazione enorme. (…) Se ha figli è meglio che siano rimasti al loro Paese. (…)

Il discorso di Emma l’aveva infastidita. Se un datore di lavoro avesse parlato così di lei o di un’amica, sarebbero insorte di fronte a quella discriminazione.

Finché nella vita di Myriam e di suo marito Paul entra – non senza discussioni e ansie – Luise. Che sembra mettere d’accordo tutti perché sono per primi i bambini ad amarla e a volerla. E non è strano perché la donna è dolce, solare. Accogliente.

Piano, piano, Luise da preziosa diviene indispensabile. Anticipa desideri, vizia i componenti della famiglia. Esige però qualcosa in cambio questa dedizione totale. Perché Luise pretende totale devozione. E le dipendenze, per non deragliare, non possono essere a senso unico.

È una storia quotidiana, una storia in cui chiunque abbia mai dovuto cercare una tata o districarsi tra lavoro si riconoscerà. Solo che è ispirata a un terribile fatto di cronaca (una babysitter di origine dominicana che nel 2012 ha assassinato i figli di una ricca famiglia di Manhattan). Il punto non è raccontare questo, però, e ci è chiaro fin dalla prima riga, visto che l’orrore viene subito svelato.

L’obiettivo è interrogarsi, capire chi siamo di fronte all’altro e quali emozioni possono legarci, coinvolgerci. Fino a travolgerci. Questo ci si chiede, mentre con un certo affanno si cerca una spiegazione alla follia del gesto. Un segnale, un appiglio. Perché il vero orrore sarebbe che non ce ne fossero di avvisaglie. Meglio aggrapparsi all’idea di non essere stati abbastanza bravi a vedere.

Ninna nanna affronta il tema del potere ribaltando di continuo il rapporto di forza tra la tata e i genitori. Parla di odio e amore ma non (solo) nella coppia. È, a tutti gli effetti, se non una storia d’amore a due – in cui il duo è rappresentato dalla coppia da un lato e dalla tata dall’altro – il racconto di una infatuazione, la sua parabola: la scoperta, l’idillio, il crollo e la fine.

Leggendo ci si interroga: qualcuno è perfetto perché ci è comodo? Dobbiamo raccontarci questa bugia per sentirci al sicuro? Possiamo mai pretendere che qualcuno sia perfetto? È mai possibile pacificare il desiderio di successo e l’amore materno?

La Slimani con una scrittura che è tutta in levare evita qualsiasi morboso biografismo (Luise è bianca e non dominicana, la coppia non è ricca): il fatto di cronaca serve solo per ottenere la nostra attenzione e così è.

“La mano che fa dondolare la culla è la mano che regge il mondo” diceva William Ross Wallace e la persona a cui lasci questo ruolo ha un potere incalcolabile.

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