Il senso di una fine – Julian Barnes

Il senso di una fine – Julian Barnes

Chi siamo? Più che chiedercelo ci capita di guardare a ciò che stiamo facendo o – soprattutto se siamo un po’ in là con gli anni – abbiamo fatto in passato. È un modo per stanarci, per fare i conti con i nostri difetti e fallimenti ma anche per concederci qualche pacca sulla spalla. O, semplicemente, per capirci qualche cosa, perché: “Più impari meno temi”.

Affronta anche questo tema Il senso di una fine. Parla di storie, cioè di esistenze, ponendosi il problema della falsificazione, della mistificazione (soprattutto involontaria), del ricordo, della ricostruzione. Del modo in cui cambia il nostro giudizio su ciò che abbiamo fatto a seconda del modo in cui lo guardiamo ma, soprattutto, del momento in cui ci concediamo questa analisi. “Dovrebbe apparirci ovvio come il tempo per noi non agisca affatto da fissativo ma piuttosto da solvente”. Insomma, rischiamo di rifilarci parecchie bugie.

Da giovane credi di saper prevedere probabili angosce e dolori della vecchiaia. Ti immagini solo, divorziato, vedovo; coi figli cresciuti che se ne vanno (…) ma tutto questo ha a che fare con il guardare avanti. Quello che ti è impossibile è guardare avanti e immaginare te stesso che guarda indietro dal punto che avrai raggiunto nel futuro.

A raccontarsi in prima persona è Tony, il protagonista o, se vogliamo, lo “storico” di se stesso. Quello che più di tutti si trova a fare i conti con “il senso di una fine” (di cosa si tratti lo scoprirete leggendo).

 La storia (…) è fatta più dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene né alla schiera dei vincitori né a quella dei vinti.

Tony è senza dubbio un sopravvissuto, non è certo un eroe ma neppure un vinto. Però il fegato per guardare al passato non gli manca – e ce ne vuole di fegato, se le cose non le puoi più cambiare – e lui lo fa con una onestà disarmante. Perché sì, ci sono stati gli amici, gli amori, i sogni, i viaggi, il matrimonio, una figlia… ma adesso c’è soprattutto un uomo che ha rinunciato a vivere, che si è messo in un cantuccio cercando di evitare gli scossoni. E la vita lo ha accontentato negandogli i turbamenti ma con essi l’amore, gli amici e i sogni. Solo che adesso – complice la vita che fa gli “sgambetti” – è venuto il momento di mettere i ricordi in fila.

È a scuola che è tutto cominciato, perciò mi toccherà tornare brevemente su certi eventi marginali ormai assunti al rango di aneddoti, su alcuni ricordi approssimativi che il tempo ha deformato in certezze.

Ed eccoli Tony, Alex e Colin. “Avevamo fame di libri e di sesso, eravamo anarchici e meritocratici” tre amici che si trovano a includere nel gruppo un quarto membro: Adrian. Ma è come se le parti in gioco fossero due: il mondo da un lato e Adrian dall’altro. Perché lui è sempre un passo avanti, non si allinea con i coetanei. È capace di sorprendere. Adrian è carismatico, intelligentissimo. A tratti inafferrabile e rimarrà tale per sempre.

A sigillo della nostra unione noi tre portavamo l’orologio con il quadrante sull’interno del polso. Si trattava di un’affettazione, ovviamente, ma forse anche d’altro. Trasformava il tempo in qualcosa di personale, per non dire di segreto. Speravamo che Adrian notasse il gesto e lo emulasse, ma non lo fece.

Questi amici si trovano alle prese con la vita e, inevitabilmente, con il senso della fine. La fine dell’adolescenza, di un’amicizia, di un sogno… della vita stessa. E nella fine c’entra una donna. Anzi, più d’una. Una fidanzata, una madre, una moglie: figure femminili dai contorni chiari ma anche portatrici di mistero. Creature delle quali parrebbe di poter intuire i gesti – persino le posture, direbbe Tony – ma che poi, alla fine, è difficile incasellare perché sanno sorprenderti.

Amerete questo romanzo se amate i libri che parlano di chi ama i libri. Se siete stanchi tanto dell’antieroe quanto del macho. Se ne avete le tasche (e le librerie) piene di stereotipi sulle relazioni, l’amore, la vita… se cercate un protagonista maschile che non faccia di sé un personaggio della letteratura, ma che sia una persona abbastanza contraddittoria da interessarvi.

Perché leggerlo? “Dobbiamo conoscere la storia di chi scrive la storia, se vogliamo comprendere la versione degli eventi che ci viene proposta”. E la versione degli eventi, qui, è proprio il senso di una fine.

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