Faraj Bayrakdar – Specchi dell’assenza

Faraj Bayrakdar – Specchi dell’assenza

Faraj Bayrakdar per “DiVersi, solo le cose inutili sono poetiche” di Elisabetta Bucciarelli che ci ricorda quanto sia importante imparare a dire grazie a chi va via…

Faraj Bayrakdar - Specchi dell’assenza - Interlinea 2
Autore: Faraj Bayrakdar
Casa editrice: Interlinea
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Grazie
a quel che deve
passare.
Grazie
a quel che deve
venire.
Grazie
a quel che si affida
solo al silenzio
e non torna.
Non torna mai.

Una riga per immergere la poesia nel suo contesto. Lui è Faraj Bayrakdar, un poeta siriano, arrestato più volte dal regime di Hafez Assad, messo in totale isolamento senza carta né inchiostro. Per sapere altro vi rimando ai due libri, il primo da cui è tratta questa poesia, Specchi dell’assenza, Interlinea; il secondo Il luogo stretto, edito da Nottetempo.

E ora veniamo a noi.

Dire grazie. Imparare a dire grazie. Non solo ai favori alle lusinghe ai premi. Ma anche alle assenze, alle distanze, ai passaggi. Al distacco. Esercitarci a dire grazie a chi va via. A quel che deve passare.

Facciamo una lista. Cosa deve passare? Ah, sì, stati d’animo dolorosi, momenti di sconforto ma anche attimi di gloria, raggiungimento del successo, felicità effimere oppure gioie che ci meritiamo.

E cosa deve venire? Lasciamo in bianco, non costruiamoci distopie, non proiettiamo desideri. Fermi, per una volta fermi. Ringraziamo e basta. Ringraziamo quel che deve ancora arrivare. Ringraziare prima è una bella scommessa.

E poi c’è il silenzio. A quel che si affida solo al silenzio facciamo un inchino. Ogni volta che non parla, noi facciamo un inchino, ogni volta che ci prova e non trova le parole, facciamo un inchino. Ogni volte che si trattiene dallo sproloquio, facciamo un inchino. Ogni volta che lui/lei resta in silenzio perché non può fare altro, facciamo un inchino. Ringraziamo il silenzio con un inchino, come i samurai. Al silenzio abbiamo affidato un tesoro prezioso. Ognuno il suo.

Non torna, non torna mai.

(Può darsi che torni forse, in che modo, con che forma e soprattutto quando, non è dato saperlo. Questo non c’entra con la poesia ma c’entra con noi.)

Faraj Bayrakdar, Specchi dell’assenza, Interlinea, lo trovate sicuramente alla libreria Gogol&Company, a Milano.

Nato nel 1951 in Siria, Faraj Bayrakdar ha iniziato a scrivere poesia a dodici anni e a pubblicarla a sedici. Ha studiato letteratura araba classica e moderna all’Università di Damasco, fondando con altri studenti una rivista culturale ostile al regime di Hafez Assad. Questo gli è valso, nel 1978, l’arresto da parte dei servizi segreti dell’aeronautica militare e una detenzione di alcuni mesi. Il giorno dopo il rilascio è stato arrestato di nuovo, stavolta dai servizi di sicurezza interna, con l’accusa di affiliazione a un partito di opposizione. Di nuovo è stato rilasciato, come dice lui stesso, «dopo qualche mese e qualche seduta di tortura». Arrestato una terza volta nel 1987, come membro del Partito comunista laburista siriano, è rimasto in carcere per quattordici anni. È stato liberato soltanto nel 2000, grazie alla pressione internazionale esercitata sul regime siriano. La sua vena poetica non si è spenta in carcere. Nemmeno dal 1987 al 1993, quando ha vissuto completamente tagliato fuori dal mondo: senza radio, senza visite, senza carta né inchiostro. A quel periodo risale infatti la raccolta poetica Il Luogo stretto (trad. Elena Chiti, Nottetempo, Milano 2016), a cui fa seguito Specchi dell’assenza. Sette sono, in tutto, le raccolte che ha scritto in carcere. Attualmente residente in Svezia, Faraj Bayrakdar continua a scrivere e a lottare per i diritti dei siriani. Nel 2017 è stato insignito del premio alla carriera del Festival internazionale di poesia civile di Vercelli. La bio è tratta dal sito di Interlinea editore.

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