Weirdo

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WeirdoL’avevano nascosta lontano dal resto del mondo, nel cuore di una foresta. Ormai era lì da quasi vent’anni, ma non era bastato a fermare gli odiosi mormorii o a evitare che si trasformassero in schiamazzi ogni volta che veniva pronunciato il suo nome. Ogni volta che un altro caso di omicidio tra teenager finiva sulle prime pagine dei giornali.
«La perfida strega dell’est», l’avevano definita i tabloid. «Killer Corrine», Somma Sacerdotessa di un culto satanico che nell’estate del 1984 si era diffuso tra gli adolescenti di una città costiera del Norfolk, portando con sé la morte. Un pericolo per la società, una femmina assetata di sangue. Una maledetta pazza, diceva la gente del posto. Lo avevano sempre saputo, che Corrine Woodrow non aveva la testa a posto. Non avevano mai dubitato della sua colpevolezza e del fatto che meritasse una punizione severa ed eterna.
Tenetela rinchiusa.
Sean Ward aveva letto tutti i documenti e gli articoli su cui era riuscito a mettere le mani riguardo a quella terribile estate del 1984. Aveva in mente un volto da adolescente, una ragazza dai capelli neri rasati, con la cresta, e una spessa linea di kohl intorno a quelli che solitamente venivano definiti «gli occhi del male». Continuavano a riproporre la foto che le avevano scattato al momento dell’arresto, anziché l’immagine della teenager con i capelli lisci e l’aspetto curato che si era poi presentata in tribunale. Di solito accanto allo scatto di Myra Hindley con i capelli biondo platino.

La foresta era fitta, piena di pini, rami che dondolavano spinti dal vento e dalla pioggia obliqua. Sean aveva incontrato soltanto un altro veicolo su questa strada secondaria che attraversava la campagna del Cambridgeshire, un vecchio trattore Massey Ferguson guidato da una figura curva con un berretto di lana in testa. Aveva svoltato barcollando all’ultimo incrocio prendendo una strada sterrata. Sean non poté fare a meno di pensare di aver imboccato una deviazione dal mondo reale, in un punto imprecisato tra qui e la M11, e di essersi perso in una fiaba popolare: stava attraversando il bosco selvaggio per giungere alla fortezza dove tenevano prigioniera la Strega.
I tergicristalli frusciavano mentre la pioggia ticchettava sul tettuccio della sua Peugeot 207 blu scuro. Aveva spento la radio già da un po’, preferiva la solitudine e la pioggerellina alle nuvole ben più nere della guerra in Iraq, che dominava i titoli del giorno: George Bush e Tony Blair che chiedevano a Saddam di dimettersi sapendo che non l’avrebbe fatto, e spingevano per un conflitto a tutti i costi.
Sean ne aveva abbastanza dei conflitti. Era stato un sergente investigativo della polizia metropolitana, poi era quasi rimasto ucciso, in servizio, da una scarica di colpi partiti da una semiautomatica che per fortuna lo spacciatore adolescente non era stato capace di puntargli addosso con precisione fatale. Aveva passato gran parte dell’anno successivo tra ospedali e centri di riabilitazione, e le sue notti erano tormentate dal ricordo dello sguardo di quel ragazzo.
Ora aveva un nuovo lavoro, non tanto diverso dal vecchio. Sean era andato in pensione dal Met, e aveva finito per fare l’unica cosa che gli ex sbirri sanno fare davvero: il detective privato. L’idea non gli piaceva, aveva immaginato una noiosa, infinita serie di tradimenti coniugali e piccole truffe. Ma era comunque preferibile a una vita da assistente sociale o da guardia carceraria o, ancora peggio, a giornate inerti e prive di scopo passate tra il divano e la tv.
Con sua sorpresa, aveva scoperto l’esistenza di una nuova area investigativa in cui il suo cervello avrebbe potuto continuare a fare quello per cui era stato programmato. I progressi della chimica e della fisica, la tecnologia del DNA, avevano aperto un nuovo campo: c’era stato un boom di avvocati in quel settore, ed era un lavoro ben pagato.
I casi irrisolti.
Ecco perché, dopo essere stato quasi ucciso da un criminale ragazzino, Sean stava andando a trovarne un altro, o qualsiasi altra cosa Corrine Woodrow fosse diventata negli anni trascorsi dal suo arresto.
Janice Mathers, l’avvocato della corona responsabile del secondo tentativo di appello a una condanna al carcere a oltranza, era il tipo di legale che faceva infuriare i suoi ex colleghi: una progressista trendy che si era fatta un nome accettando casi impopolari, tentando di denunciare gli errori che a suo dire venivano commessi nel cuore del sistema giudiziario. Aveva fatto eseguire da poco una perizia medico-legale su un pezzo di stoffa rinvenuto sulla scena del crimine e, grazie alle nuove tecniche di analisi del DNA, aveva trovato prove che gettavano dubbi sulla colpevolezza della sola Corrine.
Era stata trovata l’impronta genetica di un’altra persona sconosciuta alla polizia, un’entità anonima che da allora doveva essere rimasta pulita, mai beccata per un altro reato o schedata per un motivo qualsiasi. Janice aveva coinvolto Sean perché cercasse di rintracciare questo complice fantasma che ormai poteva trovarsi in qualsiasi angolo del pianeta, anche sottoterra.
Lui aveva accettato i soldi della Mathers malgrado gli sguardi di disapprovazione dei suoi amici della vecchia squadra, primo tra tutti Charlie Higgins, il suo ex ispettore capo, il faro dei dieci anni che aveva trascorso nella polizia. Ma anche lui nutriva dei dubbi. Anche se era stata commessa un’ingiustizia, quali speranze di riabilitazione aveva ora la Perfida Strega dell’Est? Avrebbe dovuto trascorrere il resto della sua vita sotto una falsa identità, guardandosi costantemente alle spalle, senza poter mai riposare. Sean aveva visto quello che poteva succedere al primo sussurro di sospetto, aveva visto la merda che arrivava nella cassetta delle lettere, le finestre spaccate, le scritte scarabocchiate sui muri e gli incendi appiccati. Lo aveva visto accadere a persone innocenti, figuriamoci a quelli che in passato si erano davvero macchiati di un crimine.
Ma la vera ragione per cui aveva accettato il caso gli stava diventando più chiara a ogni chilometro che percorreva: dopo lunghi mesi di inattività, il suo cervello aveva rallentato. Aveva bisogno di un caso, aveva bisogno di uno scopo. Anche a lui non sarebbe dispiaciuta una nuova identità – se questa era davvero una fiaba popolare, lui era il cavaliere bianco in sella al suo destriero –, ma non si era mai sentito a suo agio con l’etichetta di «eroe» che la stampa gli aveva affibbiato descrivendo le sue disgrazie. Invece aveva accolto a braccia aperte l’anonimato dell’archeologia criminale.
Sean aveva undici anni quando Corrine aveva commesso il suo crimine. Non ne conservava alcun ricordo. E non era neppure mai stato in quella parte del mondo. Dopo la sosta al carcere si sarebbe diretto ancora più a est, nella cittadina costiera di Ernemouth, nel Norfolk, dove tutto aveva avuto inizio, per incontrare l’uomo che all’epoca aveva guidato le indagini, l’ispettore capo Leonard Rivett, ora in pensione. Ma prima voleva incontrare Corrine. Voleva guardarla negli occhi e vedere cosa rivelavano.
Secondo la cartina che teneva aperta sul sedile del passeggero, l’ingresso alla cinta perimetrale del carcere di massima sicurezza si trovava oltre la curva successiva. Era un edificio vittoriano, come molte altre prigioni: minacciosi pilastri di mattoni e cancelli di ferro arcuati facevano da guardia a una minacciosa villa per i criminali malati di mente.

Weirdo, Cathi Unsworth, traduzione di Chiara Veltri, Castelvecchi, p. 314 (18,50 euro)

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